10 marzo 2010

ANTONIO RAGONE: OMAGGIO AL POETA GUIDO GOZZANO

Guido Gozzano nacque a Torino il 19 dicembre 1883 e morì nella stessa città il 9 agosto 1916 all’età di 33 anni.
Insieme a Sergio Corazzini è considerato uno dei massimi rappresentanti della scuola crepuscolare, il cosiddetto “crepuscolarismo”, termine letterario coniato dal critico Giuseppe Antonio Borgese per evidenziare il tono malinconico di questi poeti e l’amore per le piccole cose, che assumono nelle loro liriche un significato raffigurativo della vita, con l’uso di un lessico pieno d’infiniti stilemi letterariamente sentimentali, trasfigurando la realtà in sogno fuori da uno spazio e da un tempo reale.
Celeberrima di Gozzano è la novella in versi “La signorina Felicita ovvero la Felicità” di cui, per motivi di spazio propongo il magnifico incipit:

I


Signorina Felicita, a quest'ora
scende la sera nel giardino antico
della tua casa. Nel mio cuore amico

scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
e Ivrea rivedo e la cerulea Dora
e quel dolce paese che non dico.

Signorina Felicita, è il tuo giorno!
A quest'ora che fai? Tosti il caffè:
e il buon aroma si diffonde intorno?
O cuci i lini e canti e pensi a me,
all'avvocato che non fa ritorno?
E l'avvocato è qui: che pensa a te.

E l’avvocato è malato, sia fisicamente, di tisi, che di un’aura malinconico-crepuscolare. Nella speranza di una guarigione, inizia un lungo viaggio in Oriente, un viaggio che poi gli detterà le prose di “Verso la cuna del mondo”.
Di lui vi propongo la lirica "Cocotte", dalla quale emergono i bellissimi versi

… Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state...


 
 
 
 


COCOTTE



I.


Ho rivisto il giardino, il giardinetto
contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale

mi protese la mano ed il confetto...


II.


"Piccolino, che fai solo soletto?"
"Sto giocando al Diluvio Universale."



Accennai gli stromenti, le bizzarre
cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia

fretta d'un bacio e fretta di ritrarre
la bocca, e mi baciò di tra le sbarre
come si bacia un uccellino in gabbia.


Sempre ch'io viva rivedrò l'incanto
di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre;

ed io stupivo di vedermi accanto
al viso, quella bocca tanto, tanto
diversa dalla bocca di mia Madre!


"Piccolino, ti piaccio che mi guardi?
Sei qui pei bagni? Ed affittate là?"
"Sì... vedi la mia mamma e il mio Papà?"
Subito mi lasciò, con negli sguardi
un vano sogno (ricordai più tardi)
un vano sogno di maternità...


"Una cocotte!..."
"Che vuol dire, mammina?"
"Vuol dire una cattiva signorina:
non bisogna parlare alla vicina!"
Co-co-tte... La strana voce parigina
dava alla mia fantasia bambina
un senso buffo d'ovo e di gallina...


Pensavo deità favoleggiate:
i naviganti e l'Isole Felici...
Co-co-tte... le fate intese a malefici
con cibi e con bevande affatturate...
Fate saranno, chi sa quali fate,
e in chi sa quali tenebrosi offici!


III.


Un giorno - giorni dopo - mi chiamò
tra le sbarre fiorite di verbene:
"O piccolino, non mi vuoi più bene!..."
"È vero che tu sei una cocotte?"
Perdutamente rise... E mi baciò
con le pupille di tristezza piene.


IV.


Tra le gioie defunte e i disinganni,
dopo vent'anni, oggi si ravviva
il tuo sorriso... Dove sei, cattiva
Signorina? Sei viva? Come inganni
(meglio per te non essere più viva!)
la discesa terribile degli anni?

Oimé! Da che non giova il tuo belletto
e il cosmetico già fa mala prova
l'ultimo amante disertò l'alcova...
Uno, sol uno: il piccolo folletto
che donasti d'un bacio e d'un confetto,
dopo vent'anni, oggi ti ritrova


in sogno, e t'ama, in sogno, e dice: T'amo!
Da quel mattino dell'infanzia pura
forse ho amato te sola, o creatura!
Forse ho amato te sola! E ti richiamo!
Se leggi questi versi di richiamo
ritorna a chi t'aspetta, o creatura!


Vieni! Che importa se non sei più quella
che mi baciò quattrenne? Oggi t'agogno,
o vestita di tempo! Oggi ho bisogno
del tuo passato! Ti rifarò bella
come Carlotta, come Graziella,
come tutte le donne del mio sogno!


Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state... Vedo la case, ecco le rose
del bel giardino di vent'anni or sono!


Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia...
Vieni! T'accoglierà l'anima sazia.
Fa ch'io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacierò; rifiorirà, nell'atto,
sulla tua bocca l'ultima tua grazia.


Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d'allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.

Guido Gozzano

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