11 dicembre 2009

ANTONIO RAGONE: LE MADRI CANTATE DA OMERO


Teti intercede presso Zeus
a favore del figlio Achille



Il mare frange i suoi flutti sugli scogli e Omero traduce quel rumore argenteo, sempre uguale, nel pianto di Teti, la gran madre azzurra, cui la guerra ha portato via suo figlio Achille. Non ci sono acque d’Acheronte che tengano, avverrà in un certo momento dell’esistenza il grande strappo del figlio dalla madre. Il figlio divenuto ormai altra persona da lei si scioglie da quel cordone che abbraccia e soffoca. Anche Afrodite Venere scende sempre alla fucina di Vulcano, negli anfratti oscuri dell’Etna a richiedere armi nuove e lucenti per il figlio Enea affinché questi possa affrontare e vincere l’aspra battaglia dell’esistere. Achille sarà colpito dalla freccia di Paride e morirà, Enea, dopo la tragedia della distruzione di Troia, salperà con la sua nave che, dopo lunghe peregrinazioni, lo condurrà fino a Roma. Ogni madre vorrebbe difendere il figlio dai colpi avversi della sorte, ma il figlio, in una solitudine che genera angoscia, vorrà affrontare il cammino che lo attende, fare le sue scoperte nel bene e nel male vivendo autonomamente la sua vita. Questo ci dice la marina madre Teti e forse nel rumore delle onde che schiumano e s’infrangono sulla riva il grandissimo Omero avrà avvertito il pianto segreto della dea non più dea ma soltanto madre dolente. Pianto uguale per tutte le mamme. Lo stesso pianto scritto in versi dai poeti del novecento. (Antonio Ragone)

Teti trovò che dalle sue sorelle
Circondata piagnea la già vicina
Morte del figlio, che ne’ frigii campi
Perir lungi dovea dal patrio lido.
Le parve innanzi all’improvviso, e disse:
“Sorgi o Teti: il gran padre a sé ti chiama”.
“E che vuole da me l’Onnipotente?”.
Teti rispose: “Afflitta come sono,
di mischiarmi arrossisco agl’Immortali.
Pur vadasi e s’adempia il suo volere”.
Ciò detto si coprì l’augusta Diva
D’un atro vel di che null’altro il nero
Color lugubre eguaglia, e in via si mise.
Iva innanzi la presta Iri, e sonora
Intorno a lor s’aprìa l’onda marina.


(Dall’Iliade – volume III – Traduzione di Vincenzo Monti)

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